Negli anni ’50 l’italiano era identificato con il dialetto che parlavano i muratori, i giardinieri e i camerieri dei ristoranti. Mezzo secolo dopo la nostra lingua si è presa la rivincita, in crescita costante da dieci anni, ora è la quarta più studiata nelle università americane e oltre 60mila ragazzi nel 2006 hanno scelto di seguire un corso di lingua e cultura italiana.Negli Stati Uniti ci sono nuove cattedre d’italiano un pò ovunque perfino in Alaska e alle Hawaii, ne sono appena state aperte due a Puerto Rico. Tra le possibili ragioni per questo boom si deve sicuramente considerare che è sparita l’idea dell’italiano come emigrante, oggi la nostra lingua si è liberata da quell’immaginario ed esprime un’idea di cultura e di stile. Il successo dei prodotti italiani è servito da traino, basti pensare alla moda e al cibo. L’Italia ha cambiato il modo di vestire e di mangiare degli americani e questo li ha conquistati. Infine è rinata la moda del Grand Tour: Più di 80 università americane hanno una sede a Firenze. Per un giovane studente oggi il viaggio in Italia rappresenta una tappa fondamentale di formazione.
La summer school di Columbia University a Venezia, in cui si studiano lingua, architettura e storia dell’arte, non ha più posti disponibili. E’ nata solo tre anni fa, ma ha un successo clamoroso, i ragazzi vogliono scoprire l’Italia e questo è estremamente positivo.Prima l’italianistica era lo studio approfondito della Divina Commedia, naturale che fosse per pochi, oggi c’è un approccio interdisciplinare che ha conquistato molti studenti: arte, letteratura, cinema, musica e anche la cultura del cibo procedono insieme. L’italiano è vissuto come una lingua polisensoriale capace di aprire le porte al “bello”.
Negli anni ’60, secondo le statistiche della Modern Language Association, 11mila ragazzi studiavano italiano, nel 1970 erano saliti a 34mila, nel 1998 si supera la soglia dei 40mila iscritti, nel 2004 dei 50mila e lo scorso anno dei 60mila. Tra il ’98 e il 2002, c’è un balzo del 30%, straordinario se comparato alle altre lingue europee, che negli ultimi cinque anni si è consolidato. Ancora nel ’70 il francese la fa da padrone, con 360mila iscritti, poi comincia un declino che oggi ne fa ancora la seconda lingua studiata dietro lo spagnolo (746.000 iscritti) ma a quota 200mila. Al terzo posto c’è il tedesco, che a partire dagli anni ’70 venne identificato come la lingua europea degli affari, ma che oggi ha perso questa caratteristica di idioma indispensabile per il business, lasciando il posto al cinese, che cresce insieme all’arabo.
Storicamente le cattedre di italiano erano stati aperte soltanto in quelle aree degli Stati Uniti e del Canada dove c’erano i figli degli emigranti, come necessità per lo studio degli italo-americani, oggi non è più così, anche se la maggiore concentrazione resta sulla costa Est. In crescita anche il numero degli iscritti ai master e ai dottorati, si è passati da 925 del ’98 a 1100 oggi, ma siamo sotto la soglia dei 1200 iscritti sopra la quale un programma entra nella classifica federale e ha diritto ad avere finanziamenti e borse di studio.
Oggi non siamo più emigranti, Renzo Piano sta per inaugurare il grattacielo progettato come sede del New York Times, Bulgari lancia la sua sfida a Tiffany con un negozio grande uguale che occupa l’angolo opposto della Quinta strada, un italoamericano come Rudolph Giuliani corre per la presidenza e il vino italiano è al primo posto tra quelli importati, davanti ad Australia e Francia. Oggi si può tranquillamente affermare che l’italiano in America è la lingua della cultura.
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