Una donna viene arrestata il 23 febbraio nella zona est di Roma, perché ruba dei vestiti in un negozio. Ha 32 anni e deve essere processata per direttissima (un processo più “svelto” dato che c’è la fragranza di reato, o la confessione dell’accusato): dovrà passare la notte in cella di sicurezza, ma dai carabinieri del Casilino non c’è posto. Viene spostata alla stazione del Quadraro dove ci sono tre carabinieri e un vigile urbano, amico degli altri.
La donna ha spiegato, secondo le indiscrezioni riportate da “Repubblica” e altri quotidiani, che le è stato offerto del whisky e poi la violenza dopo essere stata condotta in sala mensa. I suoi ricordi erano offuscati, aveva paura e quando viene rilasciata non racconta nulla al giudice che la scarcera. Nel pomeriggio, dopo le esortazioni del compagno, si decide a denunciare l’accaduto e torna dai carabinieri del Casilino: questi la portano al Policlinico Casilino dove verrà eseguito un tampone vaginale. L’esame accerta i rapporti sessuali ma non lo stupro: per gli indagati la donna era consenziente ma l’indagine della procura romana, su cui vige il massimo riserbo, desta perplessità nella cittadinanza e nel sindaco Alemanno, che ha detto: “Certamente l’Arma prenderà provvedimenti per fare chiarezza e isolare “le mele marce” che non devono influire su un giudizio negativo dei romani”. A destare perplessità è la giustificazione dei carabinieri: non si dovrebbero fornire alcolici e nemmeno sfruttare, seppure in maniera consenziente, la condizione di “carceriere-prigioniero” per fini sessuali.
Le indagini sono compiute dal “Reparto Operativo” dei carabinieri della capitale: hanno tutto l’interesse, per il “fango” che potrebbe ricadere sugli stessi militari, a fare chiarezza sull’evento, che comunque non rappresenta una pagina di “moralità” per l’Arma. Le responsabilità penali, se saranno e potranno essere accertate, toccano ai magistrati, ma il giudizio “morale” sull’autodifesa fornita dai militari e dal vigile che hanno approfittato indecentemente di una persona in una condizione di svantaggio, spetta ai cittadini.
La donna ha spiegato, secondo le indiscrezioni riportate da “Repubblica” e altri quotidiani, che le è stato offerto del whisky e poi la violenza dopo essere stata condotta in sala mensa. I suoi ricordi erano offuscati, aveva paura e quando viene rilasciata non racconta nulla al giudice che la scarcera. Nel pomeriggio, dopo le esortazioni del compagno, si decide a denunciare l’accaduto e torna dai carabinieri del Casilino: questi la portano al Policlinico Casilino dove verrà eseguito un tampone vaginale. L’esame accerta i rapporti sessuali ma non lo stupro: per gli indagati la donna era consenziente ma l’indagine della procura romana, su cui vige il massimo riserbo, desta perplessità nella cittadinanza e nel sindaco Alemanno, che ha detto: “Certamente l’Arma prenderà provvedimenti per fare chiarezza e isolare “le mele marce” che non devono influire su un giudizio negativo dei romani”. A destare perplessità è la giustificazione dei carabinieri: non si dovrebbero fornire alcolici e nemmeno sfruttare, seppure in maniera consenziente, la condizione di “carceriere-prigioniero” per fini sessuali.
Le indagini sono compiute dal “Reparto Operativo” dei carabinieri della capitale: hanno tutto l’interesse, per il “fango” che potrebbe ricadere sugli stessi militari, a fare chiarezza sull’evento, che comunque non rappresenta una pagina di “moralità” per l’Arma. Le responsabilità penali, se saranno e potranno essere accertate, toccano ai magistrati, ma il giudizio “morale” sull’autodifesa fornita dai militari e dal vigile che hanno approfittato indecentemente di una persona in una condizione di svantaggio, spetta ai cittadini.
Paolo Maria Addabbo
2 commenti su “Denuncia stupro di 3 carabinieri e un vigile urbano”