La decisione presa dall’Agcom 18 mesi fa non tocca gli apparecchi che si trovano in alcune scuole, ospedali, caserme con più di 50 unità e posti isolati come i rifugi dove c’è rischio di valanghe e tutta una serie di luoghi in cui la Telecom ha l’obbligo di garantire il servizio: sono circa 14000 gli apparecchi in questo settore.
Come spiegato nell’atto dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (in foto) c’è una procedura per opporsi alla rimozione del telefono fisso pubblico: lo dirà anche un cartello da affiggere sull’apparecchio “prescelto”… Sì, prescelto, perché delle circa 150.000 cabine sul territorio italiano ogni anno ne vengono rimosse trentamila e viene stilato un elenco aggiornato delle postazioni pubbliche: dieci anni fa erano il doppio e per mantenerle, secondo le dichiarazioni di Telecom citate indirettamente dalla stampa nell’ambito delle discussioni con il Garante delle comunicazioni e con le associazioni dei consumatori, si spenderebbero diverse decine di milioni d’euro ogni anno.
Telecom, quando a fine del 2009 prospettò il piano, promise anche di rinunciare ai contributi pubblici per le cabine in relazione al numero di quelle che sarebbero state “tagliate” dal servizio.
Se un comitato di quartiere, un’associazione, ma anche un semplice cittadino, è affezionato alla cabina ed è fra i pochi che le usano ancora, può inviare una mail (indirizzo in foto) all’Agcom che valuterà la richiesta. Alla stessa mail si possono segnalare atti vandalici e cabine in stato di abbandono. Non manca un’iniziativa “ad hoc” sul principale social-network del web: “Adotta una cabina” si intitola la pagina Facebook.
Ma sono così utili? Intanto che le cabine vengono smantellate a trentamila per volta, quanti contributi pubblici intascherà Telecom per i prossimi 4 anni?